lunedì 4 aprile 2011

Verso casa


A Gaziantep, in un aeroporto deserto preso in prestito come hotel per evitare la sveglia prima dell’alba, ci tocca mettere la parola fine al viaggio. A chi si chiede che fine avevamo fatto in questi giorni raccontiamo le nostre ultime tappe. Poi sarà davvero tempo di bilanci...

Tra Mardin e Şanli Urfa il paesaggio si fa via via più dolce e accogliente. Complice la primavera, i campi verdi e rigogliosi sfilano a destra e a sinistra durante le quasi tre ore di viaggio di pullman. Il primo impatto con Şanli Urfa non è stato dei più semplici. La domenica è giorno di riposo e quindi nel bazar, regno del commercio e cuore pulsante della città, non accade quasi nulla. Ci si è messa anche la pioggia, che finora ci aveva graziati. Avremmo anche preferito che il pullman non ci scaricasse come un pacco a bordo strada di un anonimo incrocio di periferia anziché alla stazione... ma tant’è. Abbiamo scoperto Şanli Urfa soprattutto stamattina, quando una bella giornata di sole illuminava questa che per i musulmani è meta di pellegrinaggio, città sacra perché si narra che qui passò nientemeno che Abramo in persona. Sacra come le carpe fameliche che affollano la grande vasca nel Giardino del Gölbası e che devono essere rigorosamente nutrite con il mangime fornito dai venditori del posto.
E a proposito di vendite, il bazar si è rivelato perfetto per i nostri acquisti prepartenza e per un’ultima scorpacciata di immagini emblematiche come i gruppi di vecchi, kefiah in testa e tè alla mano, che giocano a domino e a backgammon. Per calarsi completamente nella parte, niente di meglio che un paio di esperienze alaturka per Fabio: farsi fare la barba da un kuaför locale nel bazar (un capellone come ne abbiamo visti pochi in tutto il Paese) e farsi lucidare le scarpe messe alla prova dalla vita on the road di queste ultime tappe. Il loro aspetto polveroso rendeva bene l’idea dell’intensità di questo viaggio, in cui ogni giorno ci ha lasciato qualcosa di significativo.

Oggi, appena scesi dal pullman alla stazione di Gaziantep, un tizio ci è corso incontro al grido di “Halep!? Halep!?”. A sole tre ore da lì ci aspettava Aleppo, ma a malincuore avevamo già deciso giorni fa di rimandare il nostro viaggio in Siria. Gliel’abbiamo spiegato. Le barriere linguistiche finiscono col far trapelare soltanto l’essenziale, che si tratti di un’informazione pratica o di un’emozione. Se ha capito qualcosa, lo ha fatto leggendo nel nostro sorriso che il nostro prossimo viaggio ripartirà da lì.

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