martedì 2 marzo 2010

Casa


Nel continuare a immaginare la meta del prossimo viaggio, non posso fare a meno di chiedermi cosa significhi tornare a casa. Che cos'è la casa? Ha a che fare con la geografia? Con lo spazio o con il tempo? Con l'arredamento?

Mi guardo attorno e vedo libri, mobili, tecnologie, stoviglie...sento un odore familiare e i rumori ovattati che si insinuano dalla finestra aperta in un giorno che annuncia da lontano la primavera. Vedo me stessa, davanti al pc che, portatile, sembra dirmi: ovunque tu vada verrò con te.

In un monolocale non puoi dare troppo spazio al superfluo, e così ognuno di questi oggetti è impregnato di storia, di eventi, persone e ricordi. Potrei mai separarmi da tutto questo? E se sì, quanto a lungo?

Oggi la mia casa è questa, sono queste quattro mura impregnate di me.

Eppure questa consapevolezza non basta a chiarirmi le idee su quale sia la mia casa, il mio posto. Forse perché non è possibile essere "monogami" quando si tratta di casa. Forse perché la stabilità è un limite, un confine, che a volte bisogna avere il coraggio di oltrepassare per affacciarsi al nuovo, a costo di abbandonare quegli odori e rumori così rassicuranti per trovarne altri che in un momento speciale potrebbero provocare la stessa sensazione di intimità.

Ci sono cose che vengono sempre con me, e non soltanto perché sono oggetti utili, ma più spesso perché hanno valore al di là di ogni confine geografico. Le altre possono sempre restare da qualche parte, nel posto che assegno loro, dove aspetteranno il mio ritorno.

Le cose sono cose, le persone no. Le persone possono attendere un ritorno, possono sperare e pregare che la distanza si assottigli fino a scomparire, fino a diventare da due a una cosa sola. Ma aspettare non basta. Bisogna agire. Bisogna lasciare il proprio posto e andare verso uno nuovo, annullare le distanze, che sia per poche ore, giorni o settimane. Perché quel tempo trascorso in movimento è l'unico antidoto al veleno che l'attesa è capace di iniettarti nel sangue. Devi muoverti, e andare incontro a ciò di cui non puoi fare a meno.

E allora, di nuovo, la vera domanda è di cosa non posso, non voglio fare a meno? Non è passato molto tempo da quando ho iniziato a chiedermelo, e ad ascoltarmi, ma alcune risposte sono già arrivate. Sono frammenti, verità parziali che quasi si contraddicono, ma tutte estremamente significative. Stanno arrivando, rapide, a comporre il puzzle.

Sospetto che quando l'avrò completato, la parola casa avrà assunto un significato nuovo. Sospetto, e dentro di me spero, che casa mia sarà ogni luogo dove sarò riuscita ad annullare le distanze da ciò di cui non intendo più fare a meno.

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